Chi viaggia senza incontrare l’altro, non viaggia, si sposta.

Questo è il racconto per immagini del viaggio che ho avuto l’opportunità di fare, a dicembre dello scorso anno, in Mauritania in pieno Sahara. Ero con sei amici esperti di deserti, soprattutto profondi conoscitori del Sahara, il deserto per eccellenza.
Niente bicicletta questa volta, nella sabbia non si pedala, abbiamo viaggiato con due Toyota attrezzate per affrontare un viaggio di 4.000 km, un’avventura fatta di piste sabbiose, di polvere, di pietraie, di mulattiere. La Mauritania è il paese della sabbia, del vento, del silenzio, dei nomadi. Abbiamo dormito sulla sabbia dorata delle dune, sotto una volta di stelle, la luna dava un tocco magico proiettando sulla sabbia l’ombra di un’acacia. Siamo stati accolti dai nomadi nella loro tenda per condividere qualche cena a base di cuscus, allietati dai loro canti accompagnati dal suono dei coperchi da cucina e da un tamburo fatto con una pentola chiusa con una camera d’aria da camion. Persone semplici, la cui quotidianità è scandita da ritmi antichi, che vivono dell’essenziale, che godono del niente che hanno. Ancora una volta ho cercato di entrare in quella realtà provando a spogliarmi della mia presunzione, del mio sapere tutto, delle mie capacità, immedesimandomi nell’Altro…non nel diverso! Ho goduto dell’amicizia, nessuno mi ha chiesto di che religione fossi. Il responsabile di un villaggio mi disse:” non importa di che religione tu sia ne’ a quale religione io appartenga, l’importante è che siamo amici “.
Cosa mi resta
Qualcuno mi chiede: “ dopo tutti questi viaggi cosa ti resta?”.
Cari amici, mi resta tanto, sono partito povero e sono tornato ricco.
Mi restano negli occhi paesaggi meravigliosi, di bellezza indescrivibile.
Mi resta il ricordo della fatica, delle notti gelide passate in tenda sotto i cieli del Tibet, della sabbia del Sahara che mi entrava nelle orecchie, del pane cotto nella sabbia che “ cantava sotto i denti “.
Mi restano nel cuore i bambini che ho preso in braccio, i bambini tanzaniani che si inginocchiavano per ringraziarmi per il dono di qualche caramella, ho nel cuore quei due gemellini di quattro mesi che in un villaggio dell’Uganda cercavano di succhiare qualche goccia di latte dal seno scheletrito della loro mamma, non avevano nemmeno la forza di piangere. A quella mamma portai un po’ di biscotti, due bottiglie di latte e una bottiglia di aranciata; lei mi guardò con gli occhi appannati e mi disse:” è tardi ”.
Non ho mai guardato al colore della pelle, al titolo di studio, alla religione di appartenenza. I bambini sono bambini in tutte le parti del mondo, la sofferenza è sofferenza per tutte le persone, Dio ha creato Uomo e Donna senza classificazione.
Siro Marco Forlani