SAHARA
Quando si dice “deserto” si pensa immediatamente al Sahara. La parola Sahara in arabo definisce il vuoto, il nulla. Il Sahara è lo spazio vuoto che collega paesi e civiltà diverse ai quattro punti cardinali del continente africano. Vuoto, ossia disabitato, ma ricco di vita, solo che si osservino le impronte lasciate sulla sabbia da innumerevoli creature. E nemmeno così disabitato, perché nel bel mezzo del deserto si trovano villaggi, città, intere popolazioni che hanno costruito nelle oasi in cui vivono giardini fertili e comunità fiorenti. Come nello Mzab, nel sud-ovest algerino, dove una comunità berbera islamica che si era staccata dalla pratica religiosa ufficiale, perseguitata e poi cacciata, arrivò nell’XI secolo dopo un lungo cammino e lì si fermò, stremata, decimata dalla fatica. Nel deserto di pietra i Mozabiti scavarono pozzi profondi fino a che trovarono l’acqua. L’acqua nel deserto è la vita. Nel mondo è la vita, ma noi non ci accorgiamo di quanto sia preziosa, così come non ci accorgiamo di quanto è preziosa l’aria se non quando l’eccesso di sostanze inquinanti da noi stessi prodotte ce la guasta e cominciamo a temere per la nostra salute.I Mozabiti costruirono cinque città dall’architettura così perfetta, così armoniosa nella sua essenzialità dettata dalla pura funzionalità da suscitare l’ammirazione del più innovativo architetto moderno, Le Corbusier, che ne copiò le linee e le forme nella sua celebre cappella di Ronchamps. Attorno alle cinque città dello Mzab oggi si estendono vasti giardini, frutteti, campi di grano e palmeti che assicurano benessere alla popolazione. L’acqua, primaria fra tutte le risorse, è distribuita equamente fra le famiglie che si dedicano alle colture, in proporzione alle forze lavoro. Nelle città prosperano le attività artigianali e i commerci e non esiste povertà estrema o mendicità, perché la comunità, che non tollera ostentazioni di ricchezze, meno ancora sopporterebbe di lasciare qualche suo componente nell’indigenza e provvede a garantire un’esistenza dignitosa a chi rimane senza risorse. Le donne dello Mzab circolano per strada coperte da capo a piedi da un mantello bianco di lana leggera, che tengono aperto appena davanti a un occhio per vederci. Ma le ragazze cominciano ad andare a scuola come i ragazzi e a frequentare con loro l’università: a Ghardaia, il capoluogo della regione, sorge un’università dove vi è un istituto di biologia agraria d’avanguardia frequentato da studenti che giungono da tutto il Nord Africa.