Cari amici,

questa volta vorrei parlarvi dilandor Arnold Henry Savage Landor (1865-1924), un esploratore quasi completamente dimenticato nonostante in vita abbia goduto di una vasta popolarità. Landor era anche pittore, scrittore e antropologo. Nato a Firenze da padre inglese e madre italiana, aveva trascorso l'infanzia a Firenze e la passione per i viaggi gli era stata ispirata dalla lettura dei libri di Samuel Baker e di Jules Verne. Dopo i primi viaggi di studio e di lavoro in Francia e Inghilterra, si recò in America con in tasca quaranta sterline e riuscì a dipingere ritratti di personalità politiche e celebrità dello spettacolo guadagnando abbastanza da proseguire per Vancouver e imbarcarsi per il Giappone dove riscosse un enorme successo come ritrattista di nobili e ministri e si dedicò anche all'esplorazione dell'allora sconosciuta isola di Hokkaido. Sempre dipingendo ed esplorando, Landor continuò il suo viaggio in Corea e poi in Cina. Successivamente visitò l'Australia e nel 1897 compì un avventuroso viaggio esplorativo in Tibet dove scoprì e descrisse le sorgenti dell'Indo e del Brahmaputra. Tornò una seconda volta in Tibet e proseguì per il Nepal. Dal 1901 al 1912 viaggiò di nuovo in Cina, poi in India dalla Russia attraversando la Persia a cavallo, poi ancora nelle Filippine, in Africa (in Abissinia dipinse il ritratto dell'imperatore Menelik II) e in Sud America.
Il brano che traduco per voi è tratto dal libro In the Forbidden Land (1898), sul suo primo viaggio in Tibet: il suo libro più famoso, che ispirò D'Annunzio per il suo romanzo Più che l'amore.
""Il Maium Pass (5300 m), dal quale nessun inglese era mai transitato, è un punto di riferimento importante in Tibet, non solo perché una delle sorgenti del grande Tsangpu (o Brahmaputra) nasce dal suo versante sud-est, ma perché separa le immense province di Nari-Khorsum dallo Yutzang, la provincia centrale del Tibet che si estende ad est del passo lungo la valle del Brahmaputra e ha per capitale Lhasa.Bandierine di preghieraIo mi ero staccato per compiere la ricognizione di un altro passo a nord-est ed ero appena tornato dai miei uomini sul Maium quando vedemmo un gruppo di soldati tibetani a cavallo che avevamo sorpassato dirigersi verso di noi gesticolando. Li aspettammo. Il loro capo, indicando la valle al di là del passo si mise a gridare: «Quello è il territorio di Lhasa e vi proibiamo di entrare!». Non feci caso alla sua protesta e spingendo davanti a me due yak misi piede nella più sacra delle province sacre, "il territorio di Dio".
Scendemmo rapidamente lungo il versante orientale del passo mentre i soldati, impietriti, rimasero sul crinale a guardarci stupefatti, stagliati contro il cielo con i raggi del sole che facevano scintillare le loro spade ingioiellate e con i loro fucili antiquati ornati di bandierine rosse, mentre sopra di loro ondeggiavano al vento altre bandiere di preghiera: uno spettacolo molto pittoresco. Rimasero un po' a guardarci, poi scomparirono. (...)

Un esile rigagnolo di appena 6 pollici scendeva tra la pietre nel mezzo della valle che stavamo seguendo, ben presto accresciuto da altri piccoli rivoli di acqua di fusione proveniente dalla neve sulle montagne che chiudevano la valle ad entrambi i lati. Era una delle sorgenti del Brahmaputra, uno dei maggiori fiumi del mondo. Confesso il mio orgoglio nel sapermi il primo europeo ad avere raggiunto queste sorgenti e provai un senso fanciullesco di delizia nel trovarmi sopra il fiume sacro, così vasto nel suo corso in pianura e che qui poteva stare tra due gambe appena leggermente divaricate.
Bevemmo l'acqua del fiume nel punto esatto in cui nasceva, poi proseguimmo la discesa lungo la valle erbosa. Il cambiamento di clima dal versante ovest a quello sud-est del passo Maium era straordinario. A ovest non avevamo avuto altro che violente tempeste di grandine, pioggia e neve e l'umidità dell'aria ghiacciava l'atmosfera anche di giorno. Il terreno era paludoso e si faticava a trovare erba secca o altro combustibile. Appena superato il passo ci trovammo in un clima mite molto piacevole, con il cielo azzurro sopra di noi, molta erba per gli yak e cespugli legnosi per fare il fuoco e sentimmo che dopo tutte le nostre sofferenze e privazioni eravamo davvero entrati nella terra di Dio. Sapevo che prima o poi ci saremmo trovati nei guai, ma non mi spiaceva per niente di avere disobbedito agli ordini dei militari e di essere penetrato nel territorio proibito. Provavo una specie di soddisfazione selvaggia nel fare qualcosa di severamente vietato.""
Mirella Tenderini