isabelleIl deserto. Il fascino del deserto. Come può un ambiente ostile alla vita suscitare tanta attrazione, il desidero di tornarci, addirittura di rimanere a viverci? Non è solo la sua bellezza - anzi, l'estetica ha poco a vedere con il sentimento profondo delle persone che hanno fatto quella scelta. Come racconta Isabelle Eberhardt in una sua nota di viaggio - la paginetta che vi propongo qui di seguito.
Isabelle Eberhardt (1877-1904) è nota soprattutto per la sua morte romanzesca, annegata a 27 anni in una inondazione improvvisa in pieno Sahara. Al di là di questo avvenimento sensazionale, la sua vita è una storia di amore totale per il Paese in cui aveva scelto di vivere e nel quale desiderava integrarsi al punto di mutare la propria identità (vestendosi da uomo e assumendo un nome maschile), di adottarne le usanze e addirittura di abbracciarne la religione. Nata a Ginevra da genitori russi, scrittrice e giornalista irrequieta, innamorata del Maghreb e della cultura islamica, Isabelle incominciò presto a viaggiare attraverso il Nord Africa. Affiliata a una confraternita sufi, amica di sceicchi e di studiosi del Corano, ma anche di ufficiali dell'esercito coloniale francese e per questo sospettata di spionaggio da una parte e dall'altra, visse intensamente la sua vita breve, lasciandone la testimonianza nei suoi scritti: reportage giornalistici, racconti e appunti di viaggio.

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Eloued (El Oued), 18 gennaio 1901.
Ammalata da tempo, con dolori insopportabili dappertutto e una totale inappetenza, a volte mi domando se devo proprio rimanere qui. Questa idea non mi spaventa... In ogni caso non desidero cambiare la mia esistenza. Mi sono affezionata a questo paese nonostante sia uno dei più desolati e violenti che ci siano. Se dovessi mai abbandonare questa città grigia dalle innumerevoli volte e cupole perduta nell'immensità grigia delle dune sterili, porterei in qualsiasi luogo un'intensa nostalgia per questo angolo di terra perduta nella quale ho tanto meditato e tanto sofferto e dove alla fine ho trovato anche un affetto semplice, ingenuo e profondo, il solo che in questo momento illumina la mia vita triste con un chiarore solare.
Sono qui da troppo tempo e questo paesaggio è troppo coinvolgente - così semplice nelle sue linee monotone - perché il mio attaccamento sia un'illusione passeggera, un'infatuazione estetica. Nessun altro luogo della terra mi ha mai incantato, stregato, come la solitudine commovente del grande oceano inaridito che dalle pianure pietrose di Guémar e ai bassi fondali maledetti dello chott Mel'riri porta al deserto senz'acqua di Sinaoun e di Ghadamès.
Spesso al tramonto, appoggiata al parapetto in rovina della mia terrazza frusta in attesa dell'ora in cui il muezzin più vicino annuncia che il sole è scomparso all'orizzonte e che è terminato il digiuno, mentre contemplo le dune fulve, sanguinanti o violette, o livide sotto il cielo basso e nero dell'inverno sempre più glaciale, mi sento invadere da una grande tristezza, una specie di angoscia oscura. Si direbbe che a quell'ora più che mai, per un risveglio improvviso del mio spirito, io senta l'isolamento profondo di questa città confinata dietro alle dune, a sei giorni dalla ferrovia e dalla vita europea... E mi sembra allora che sotto la volta della notte violacea le dune enormi come animali mostruosi si alzino e si avvicinino a circondare la città e la mia casa, l'ultima del quartiere degli Ouled-Ahmed, per custodirci gelosamente e per sempre.
A volte mi sorprendo a ricordare una frase di Loti: «Amava il suo Senegal, l'infelice...»
Sì, anch'io amo il mio Sahara, di un amore oscuro, misterioso, profondo, inesplicabile, ma reale e indistruttibile. Ora mi sembra persino che non potrei vivere lontano da questo paese del Sud. Vorrei avere la forza di separarmene, di strapparmi da questo coinvolgimento... Ma come trovare la forza di reagire contro la mia stessa natura?""
Mirella Tenderini