Cari amici,
Sono un'amica di Saharamonamour, a cui devo molto perché tre anni fa, grazie a Fabrizio, ho potuto raggiungere una zona dell'Algeria per la quale nonostante molti tentativi non ero riuscita ad avere il permesso. Volevo assolutamente visitarla per raccogliere testimonianze importanti su un personaggio del quale stavo scrivendo una biografia. É stato un viaggio molto speciale - indimenticabile. Con Fabrizio e Dalila sono stata accolta e ospitata dai pronipoti degli sceicchi e dei notabili che cento anni prima avevano accolto e ospitato Isabelle Eberhardt (il mio personaggio), e ho potuto così completare il libro - del quale vi parlerò un'altra volta.
Io scrivo libri, quasi esclusivamente biografie. Ho viaggiato parecchio, quasi sempre sulle tracce di qualche personaggio. Ho anche trascorso molto tempo a frugare in archivi e biblioteche, e a parte ciò che mi serviva per i miei libri ho raccolto anche materiale su molti viaggiatori del passato - alcuni addirittura sconosciuti o dimenticati. Fabrizio mi ha fatto un regalo: uno spazio sulla newsletter di Saharamonamour per parlare di questi personaggi. Vorrei farlo principalmente attraverso le loro parole, riportando qualche breve brano dei loro scritti, e incomincio con Heinrich Barth (1821-1865), viaggiatore e studioso tedesco che per primo, nel 1856, segnalò la presenza di incisioni rupestri preistoriche nel Fezzan.
Nella sua breve vita Barth ha viaggiato moltissimo, soprattutto nel Nord Africa e Medio Oriente e ha lasciato un libro in cinque volumi dal quale ho preso questo episodio, precedente la scoperta delle incisioni. Nel 1950, durante un viaggio in Libia dal Fezzan a Seloufiet, mentre si stavano dirigendo da Murzuq verso Ghat lungo la valle di Tanesouf, Bart vide stagliarsi all'orizzonte una bellissima montagna bianca sopra uno zoccolo di roccia rossa. Gli dissero che era l'Iniden o montagna dei Démoni e Bart decise di salirla, convinto che in passato fosse un luogo di culto e che avrebbe trovato tracce di iscrizioni o sculture. I Tuareg che accompagnavano la carovana lo sconsigliarono e rifiutarono decisamente di seguirlo, così il giorno seguente Bart partì da solo, con una manciata di datteri, qualche biscotto e un po' d'acqua che si rivelò insufficiente. La montagna era molto più lontana di quanto gli era apparso, e sembrava allontanarsi a mano a mano che attraversava prima una zona di dune, poi una vasta distesa pianeggiante cosparsa di pietre nere e un torrente secco con tracce di vegetazione. Finalmente si trovò di fronte a una ripida scarpata sassosa, in cima alla quale sorgeva il "palazzo incantato". Raggiunse la cima alla montagna con grande fatica, sotto il sole infuocato, con la gola riarsa, e scoprì che non c'erano né sculture né iscrizioni. Ecco il seguito dell'avventura con le sue parole:
""La vista si stendeva in lontananza, ma non riuscii a vedere traccia della carovana. Avevo fame, avevo sete. Non riuscivo a mangiare né i datteri né i biscotti e la riserva d'acqua era agli sgoccioli. Mi sentivo molto debole ma dovevo scendere e quando arrivai sulla piana l'acqua era completamente finita. Camminai per un bel po' e andò a finire che persi l'orientamento. Non sapevo più da che parte dirigermi. Sparai un colpo con la mia pistola, ma non ricevetti alcuna risposta. Proseguii a caso e arrivai in un punto dove c'era dell'erba e persino un tamarisco con qualcosa appeso ai rami; sembravano delle scatole (lasciate probabilmente da qualche carovana di passaggio). Col cuore colmo di gioia mi arrampicai per raggiungerle - ma erano vuote. Vidi passare lontano una fila di cammelli; era un miraggio: avevo la febbre. Venne la notte, nell'oscurità vidi brillare un fuoco: forse quello della carovana. Sparai di nuovo un colpo: nessuna risposta. La fiamma continuava ad ardere mostrandomi la direzione della salvezza, ma era buio, non potevo più muovermi. Sparai ancora una volta: silenzio. Allora rimisi la mia vita nelle mani dell'Essere misericordioso e attesi con impazienza la luce. Venne l'alba, tutto riposava in una calma indicibile. Ripresi in mano la pistola, misi una doppia carica e la detonazione riecheggiò fragorosa: mi sembrava che dovesse svegliare i morti. Non mi sentì nessuno. Il sole che avevo invocato si levò con tutta la sua forza e una calore spaventoso; salii carponi sull'altura di sabbia per ripararmi all'ombra dei rami nudi del tamarisco; a mezzogiorno la striscia d'ombra bastava solo a riparare la testa; la sete mi torturava, mi aprii una vena col coltello, bevetti un po' di sangue e persi conoscenza. Ripresi i sensi quando il sole sparì dietro alla montagna, mi trascinai a qualche passo dal tamarisco e guardai il vasto pianoro con infinita tristezza... A quel punto sentii il verso di un cammello: la musica più deliziosa che mai avessi udito.""
Dopo ventiquattr'ore di agonia, Barth venne salvato da uno dei Tuareg della carovana che si era messo alla sua ricerca.
Mirella Tenderini